L’OLIO DI PALMA: perché ABBIAMO SCELTO DI NON UTILIZZARLO

L’OLIO DI PALMA: perché ABBIAMO SCELTO DI NON UTILIZZARLO

L’OLIO DI PALMA: perché ABBIAMO SCELTO DI NON UTILIZZARLO

Il sapone naturale prodotto con metodo artigianale a freddo ha degli ingredienti molto semplici, ne bastano in realtà tre soli per ottenerlo: olio (o comunque un grasso), acqua, soda caustica.

L’olio è perciò la base per un buon sapone, nell’INCI lo trovate al primo posto.  Si possono poi combinare anche oli di piante diverse, ad esempio sia nel nostro sapone scrub melograno e cannella sia in quello calendula e ylang-ylang trovate l'olio di oliva, l'olio di cocco e l'olio di girasole come principali. In commercio si trova anche il ben più economico olio di palma: a prima vista può sembrare economico, ma dal punto di vista ambientale ci sta costando una fortuna.

Da dove arriva l'olio di palma

Il principale esportatore di olio di palma è l'Indonesia, con la bellezza di 40 milioni di tonnellate di olio prodotto (il 58% di quello totale commercializzato). Per far posto alle sconfinate piantagioni di monocoltura della palma da olio ci sono volute massicce deforestazioni e incendi di foreste e torbiere non solo in Indonesia ma anche in Malesia, Borneo, Papua Nuova Guinea, Filippine, America Centrale, Africa sub-sahariana. Le grandi compagnie produttrici grazie agli investitori stranieri si sono accaparrate milioni di ettari di terra  sottratta alle popolazioni indigene locali (land grabbing). Senza contare che le foreste vergini sono l'habitat naturale di numerose specie ormai a rischio di estinzione, e svolgono anche un ruolo insostituibile nel ciclo del carbonio globale. Tra il 2001 e il 2018 sono andati persi 25,6 milioni di ettari in Indonesia e 7,7 milioni di ettari in Malesia: tutto per soddisfare la domanda di olio di palma.

Olio di palma certificato: ne vale la pena?

Ecco che compare sulla scena la certificazione RSPO, che dovrebbe garantire una produzione di olio di palma che rispetti dei criteri di sostenibilità. Ad esempio, le piantagioni per rientrare nella certificazione, devono avere almeno 10 anni. Però nel lungo tragitto che l'olio fa dalla piantagione al compratore, viene miscelato con altri non certificati, quindi solo una parte di quello che viene acquistato come "certificato" risponde effettivamente ai criteri di sostenibilità. Nel 2016 è stata introdotta per fortuna una certificazione più severa, RSPO SG, ma questa in Italia è valida soprattutto per l'olio di palma utilizzato negli alimenti.

In vendita al supermercato troviamo una quantità enorme di prodotti per l’igiene fabbricati industrialmente da grandi multinazionali ove l’olio di palma è onnipresente (Palmolive ad esempio è uno dei primi marchi ad impiegare quest’olio): nei saponi solidi lo troviamo come olio base con denominazione INCI sodium palmate, in shampoo e balsamo come tensioattivo o altri derivati (sodium laureth sulfate, palm kernel, palmitic acid, sodium palm kernelate e molti altri). Questo perché è una materia prima che sul mercato costa molto poco e garantisce comunque delle buone performance.

Con questi presupposti…

Viste queste premesse, abbiamo deciso di non utilizzare olio di palma e derivati nei nostri prodotti; certamente il prezzo di acquisto è più alto, ma il formato solido previene gli sprechi e garantisce una durata maggiore.

Per concludere, è inutile demonizzare l’olio di palma, perché qualsiasi coltivazione intensiva e che non abbia rispetto dell’ecosistema circostante è dannosa. Purtroppo la domanda globale è molto alta e spesso lo spreco, soprattutto nella parte industrializzata del mondo, la fa da padrone. Perciò una maggiore oculatezza nei consumi, a partire dal singolo, può davvero aiutare a fare la differenza.

*fonti: reportage “Scegli l’olio giusto” a cura di Andrea Poggio per ed. La Nuova Ecologia

 

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